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Il cliente viscoso: un’opportunità strategica per le multiutility italiane

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Nel panorama delle multiutility italiane, sempre più aziende si trovano a gestire un segmento di clientela peculiare: il cliente “viscoso”. Si tratta di un consumatore caratterizzato da una forte fedeltà, spesso costruita nel tempo, ma allo stesso tempo da un’elevata resistenza al cambiamento.

Il cliente viscoso, sebbene apparentemente rassicurante per la sua stabilità, pone una serie di sfide gestionali e strategiche che le aziende del settore non possono più permettersi di ignorare, soprattutto in un mercato liberalizzato e altamente competitivo come quello attuale.

Per affrontare con efficacia le dinamiche legate al cliente viscoso, è necessario un cambio di paradigma.

In questo contesto si inserisce la strategia “Pain Is Good” (PIG), sviluppata da Sampson Lee e ispirata alla Peak-End Rule di Daniel Kahneman. Questo approccio offre una chiave di lettura innovativa per trasformare i momenti di criticità in opportunità di valore, ponendo l’accento sui momenti di picco dell’esperienza cliente. La sua applicazione nelle multiutility permette non solo di rafforzare la fedeltà, ma anche di ridurre il tasso di abbandono (churn rate) e di differenziarsi in modo significativo rispetto alla concorrenza.

Il profilo del cliente viscoso: fedeltà strutturale e resistenza al cambiamento

Il cliente viscoso è il risultato di una relazione consolidata nel tempo, spesso derivante da una lunga permanenza nel mercato tutelato o da legami territoriali con il fornitore storico. In questo contesto, la fedeltà non nasce sempre da una valutazione razionale e comparativa dell’offerta, ma piuttosto da una forma di inerzia comportamentale. La sua resistenza al cambiamento non dipende solo dalla convenienza economica, ma anche dalla percezione della complessità burocratica e da una generale diffidenza verso i nuovi operatori.

Nonostante la loro apparente stabilità, questi clienti possono rivelarsi estremamente sensibili a determinati punti critici dell’esperienza. Un’interruzione del servizio, un errore in bolletta o una gestione inefficiente del customer care possono pesare in modo sproporzionato sul giudizio complessivo, portando a una rottura anche dopo anni di relazione. Questo perché, come dimostra la teoria di Kahneman, i clienti ricordano l’esperienza globale attraverso due momenti chiave: il picco emotivo e la fase finale. Per questo motivo, una crisi mal gestita può diventare il fattore scatenante dell’abbandono.

La strategia Pain Is Good: convertire la viscosità passiva in fedeltà attiva

La metodologia Pain Is Good propone una visione controintuitiva ma efficace: non tutte le inefficienze devono essere eliminate, a patto che siano “buoni dolori” – ovvero sacrifici consapevoli e accettabili per il cliente – in grado di liberare risorse da investire nei momenti decisivi dell’esperienza. In questo modello, i cosiddetti “branded pleasures” – i piaceri che incarnano la promessa del brand – ricevono priorità strategica, mentre le risorse vengono riallocate attraverso una “rivoluzione delle risorse” che mira a ottimizzare l’impatto complessivo sul cliente.

Nel settore delle multiutility, questo significa trasformare il cliente viscoso passivo, spesso legato alla semplice abitudine, in una fedeltà deliberata, basata su esperienze positive rilevanti e memorabili. L’impiego di sistemi data-driven consente di monitorare, analizzare e governare le emozioni dei clienti in modo efficace, fornendo alla direzione strumenti concreti per pianificare interventi ad alto rendimento emotivo.

Implementare la PIG Strategy: tre fasi chiave

L’adozione della strategia Pain Is Good avviene attraverso un percorso articolato in tre fasi principali:

  • la mappatura dell’emotion curve;
  • la progettazione dei branded pleasures;
  • la comunicazione trasparente dei good pains.

La prima fase, quella di analisi dell’emotion curve, si concentra sull’identificazione dei momenti di picco e dei punti di dolore accettabili all’interno del customer journey. Attraverso tecniche qualitative e quantitative, vengono isolati i touchpoint ad alto impatto emotivo, come l’attivazione del contratto o la gestione delle emergenze, e quelli in cui un’inefficienza può essere tollerata, come l’autogestione documentale via portale. L’obiettivo è concentrare gli sforzi laddove il cliente “sente” di più.

La seconda fase è incentrata sulla progettazione di branded pleasures. Nel settore energia, ad esempio, si possono sviluppare programmi di loyalty basati su sconti dinamici legati a comportamenti sostenibili. Per il servizio idrico, un sistema di alert personalizzati su perdite e anomalie, con interventi gratuiti riservati ai clienti storici, rafforza la fiducia e la percezione di attenzione. Nel comparto rifiuti, invece, premi per la corretta raccolta differenziata convertibili in donazioni a progetti locali permettono di coniugare sostenibilità, senso di comunità e coinvolgimento.

Infine, la terza fase prevede la comunicazione proattiva dei good pains. Educare i clienti sui trade-off operativi, spiegando ad esempio che una minore spesa nel call center permette un intervento tecnico in tempi ridotti, aiuta a gestire le aspettative e a creare una narrativa coerente e trasparente. La chiarezza nel motivare certe scelte rafforza la credibilità dell’azienda e minimizza il rischio che le inefficienze siano percepite come trascuratezza.

I vantaggi competitivi della strategia PIG per le multiutility

L’adozione della strategia Pain Is Good porta con sé una serie di benefici tangibili che impattano direttamente sulla performance delle aziende. In primo luogo, si registra un’ottimizzazione del ritorno sugli investimenti operativi: riducendo l’attenzione su touchpoint marginali e concentrandosi su quelli decisivi, si può ottenere una riduzione del costo per esperienza tra il 15% e il 25%.

Un altro aspetto rilevante è la riduzione del churn rate. Le multiutility che applicano logiche esperienziali orientate ai momenti di picco riescono a mantenere un sentiment positivo anche in condizioni di aumento tariffario, come evidenziato da dati di Trustpilot che mostrano un incremento del 6% nella percezione favorevole tra i clienti di aziende che adottano il modello PIG.

In un mercato saturo e ipercompetitivo, dove oltre il 59% delle famiglie italiane ha già aderito al mercato libero dell’energia, differenziarsi diventa cruciale. Creare esperienze emotivamente rilevanti – come ecosistemi di valore basati su soluzioni smart home – aumenta il cosiddetto switching cost emotivo, rendendo meno probabile il passaggio a un concorrente.

Nel caso di aziende a partecipazione pubblica, come AGSM, l’integrazione di good pains con valore sociale – ad esempio tempi più lunghi per pratiche burocratiche in cambio di investimenti ambientali – può migliorare ulteriormente la reputazione e allinearsi agli obiettivi ESG.

Le criticità dell’approccio e le strategie di mitigazione

Nonostante i vantaggi, l’adozione della strategia PIG presenta anche alcune criticità che vanno gestite con attenzione. La prima riguarda la percezione di trascuratezza da parte dei clienti, soprattutto se i good pains non sono comunicati adeguatamente. La soluzione sta nella trasparenza e nella capacità di raccontare i benefici collettivi dei sacrifici individuali, magari attraverso dashboard o report periodici.

Un secondo rischio è quello di una standardizzazione eccessiva delle esperienze, che potrebbe rendere l’approccio meno efficace su segmenti diversi. La risposta è nella personalizzazione basata sui dati: l’utilizzo di CRM predittivi consente di modellare le esperienze in base al profilo del cliente viscoso, differenziando l’offerta tra fasce d’età o comportamenti pregressi. Ad esempio, un over 65 potrebbe apprezzare la semplificazione dei servizi legacy, mentre un under 35 potrebbe essere più attratto da dinamiche di gamification.

Il cliente viscoso, spesso considerato un vincolo per le strategie evolutive, può diventare una leva competitiva se gestito con l’approccio giusto. La strategia Pain Is Good dimostra come sia possibile non solo accettare il dolore – inteso come inefficienza controllata – ma utilizzarlo per rafforzare il rapporto con il cliente e generare valore nel lungo periodo.

Le multiutility italiane hanno davanti a sé una sfida culturale e operativa: passare da una logica reattiva a una proattiva, in cui l’esperienza del cliente diventa un asset strategico e non solo un indicatore di performance. Abbracciare l’idea che “pain is good”, se gestito con intelligenza e trasparenza, può essere la chiave per trasformare la fedeltà passiva in relazione attiva, capace di resistere alle pressioni del mercato e di creare valore sostenibile nel tempo.

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