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CX STARBUCKS

Starbucks chi l’ha inventato? E perchè ha successo? Una rivoluzione nell’esperienza cliente

Il marchio Starbucks è oggi riconosciuto a livello globale, non solo come una catena di caffè di successo, ma come un vero e proprio simbolo di un certo tipo di esperienza per il cliente, che unisce qualità del prodotto, atmosfera e attenzione al dettaglio. Entrare in uno store Starbucks significa accedere a un ambiente familiare e accogliente, progettato per offrire molto più di una semplice bevanda: un momento di pausa, di connessione o di lavoro, in un contesto caldo e riconoscibile ovunque nel mondo.

Per comprendere appieno il successo di Starbucks e la sua genesi, è fondamentale addentrarsi nella visione del suo fondatore, Howard Schultz, e nel modo in cui ha saputo reinterpretare e reinventare il concetto tradizionale di consumo del caffè, trasformandolo da una semplice transazione commerciale a un’esperienza emotivamente coinvolgente, capace di creare un legame affettivo con il cliente.

La storia di Starbucks, infatti, è un esempio paradigmatico e ispirazionale di come un’azienda possa distinguersi e prosperare nel tempo, concentrandosi non solo sulla qualità intrinseca del prodotto, ma sull’intero percorso emotivo, relazionale e sensoriale del cliente. Questo approccio, centrato sulla Customer Experience, è lo stesso che Sagres, attraverso il lavoro costante e l’attenzione del suo CX Director Sergio Rossini, enfatizza come cruciale per le aziende moderne che vogliono costruire relazioni autentiche e durature con il proprio pubblico.

Howard Schultz: da Seattle a Milano, un viaggio rivelatore

L’ispirazione per il successo di Starbucks e la sua peculiare offerta non nacque a Seattle, dove l’azienda era una piccola torrefazione con soli quattro punti vendita negli anni ’80. La vera scintilla scoccò durante un viaggio di Howard Schultz a Milano nel 1983. In quel periodo, il modello dominante di caffetteria in America era quello di catene come Donuts, dove l’obiettivo principale era la velocità e la funzionalità: si entrava, si comprava un caffè economico da asporto e lo si consumava in fretta, magari in macchina, senza alcuna interazione significativa o un’esperienza distintiva.

Ma a Milano, Schultz osservò qualcosa di radicalmente diverso e per lui “incredibile”. I bar italiani non erano semplici punti di vendita di caffè; erano luoghi di socializzazione, dove le persone si sedevano, leggevano il giornale, chiacchieravano, giocavano a carte e interagivano familiarmente con i baristi, che spesso conoscevano i clienti per nome e ordinazione abituale, chiamandoli per nome e preparando le loro bevande preferite in un ambiente accogliente.

Questa osservazione diretta della cultura del bar italiano, che enfatizzava la relazione umana, la convivialità e il senso di comunità, fu la chiave di volta per la futura evoluzione di Starbucks.

Il concetto rivoluzionario del “Third Place” di Starbucks

Profondamente colpito da questa esperienza italiana, Howard Schultz sviluppò il concetto di “Third Place” (terzo luogo). L’idea era creare uno spazio che fungesse da estensione della casa e del posto di lavoro, un ambiente accogliente e familiare dove le persone potessero sentirsi a proprio agio, fermarsi, lavorare, studiare, leggere, incontrare amici o semplicemente concedersi una pausa.

Questo “terzo posto” di Starbucks fu progettato con attenzione ai minimi dettagli sensoriali: divani comodi, tavoli spaziosi, connessione Wi-Fi gratuita, luci calde e musica di sottofondo, tutto per contribuire a un’esperienza immersiva e confortevole. Un’innovazione “incredibile” fu persino la possibilità di utilizzare i bagni senza obbligo di acquisto, un dettaglio che rafforzava l’idea di Starbucks come un’estensione del proprio spazio domestico.

L’obiettivo di Starbucks non era più solo vendere caffè, ma creare un’atmosfera dove il cliente si sentisse accolto e parte di una comunità. Questa visione innovativa della Customer Experience, che mette al centro le emozioni e il benessere del cliente, è un punto cardine anche nella filosofia di Sagres, che crede nell’umanizzazione del business e nella capacità di ascoltare e interpretare i bisogni non espressi dei clienti per costruire relazioni durature.

La visione inizialmente rifiutata e la nascita de “Il Giornale”, il precursore di Starbucks

Quando Howard Schultz tornò a Seattle e propose alla direzione di Starbucks di adottare questo nuovo modello di business, trasformando la torrefazione in un luogo di ritrovo ispirato ai bar italiani, la sua idea fu inizialmente respinta. L’azienda non credette in questa rivoluzione dell’esperienza del cliente.

Di fronte a questo rifiuto, Schultz decise di lasciare Starbucks e fondare la propria azienda, che chiamò “Il Giornale” (nome italiano, curiosamente), riproducendo il modello di bar che aveva ammirato a Milano, con panini e un ambiente dove le persone potessero “stare bene”.

Il successo de “Il Giornale” fu enorme. Fu così grande che, a un certo punto, Schultz riuscì ad acquistare la stessa Starbucks, che nel frattempo non stava andando bene, acquisendo il logo e il brand. Fu allora che la catena di “bar-luoghi dove stare” di Starbucks si diffuse in tutto il mondo, basando il suo modello vincente proprio su quell’esperienza di convivialità e accoglienza che Schultz aveva scoperto in Italia.

Sebbene la personalizzazione offerta da Starbucks, come scrivere il nome sul bicchiere, non sia esattamente paragonabile al rapporto intimo con un barista italiano, il modello ha comunque rivoluzionato il consumo del caffè, elevandolo a un’esperienza significativa piuttosto che un mero atto funzionale.

Starbucks e la promessa del brand: oltre il servizio clienti tradizionale

Il successo duraturo di Starbucks non si basa sull’eccellenza in ogni singolo aspetto del servizio clienti tradizionale, ma sulla sua straordinaria capacità di mantenere una chiara e distintiva “brand promise”. Molte aziende credono che per ottenere risultati di business eccezionali sia indispensabile fornire un servizio clienti impeccabile in ogni punto di contatto, ma la strategia di Starbucks dimostra il contrario. L’azienda ha compreso che l’esperienza complessiva del cliente (CX) è un sistema olistico in cui non ogni “touchpoint” (punto di contatto) deve essere perfetto.

Invece, Starbucks si concentra sulla promessa fondamentale che fa ai suoi clienti: fornire un terzo luogo accogliente, un’esperienza coinvolgente e un caffè di qualità, anche se con un prezzo più elevato, come vedremo. Questo è il potere che deriva dalla loro coerenza nel mantenere la “brand promise”.

La lezione di Starbucks è che un’esperienza cliente efficace non è quella che cerca di eliminare ogni minima difficoltà, ma quella che dedica risorse in modo mirato al mantenimento del “patto” con il cliente, accettando che alcuni “pain point” (punti di frizione o disagio) siano un costo accettabile per il cliente in cambio di un beneficio superiore e coerente con l’identità del brand.

Questo approccio è in linea con la “PIG Strategy” (Pain Is Good) che Sergio Rossini, Direttore CX di Sagres, ha tradotto e promosso in Italia.

La strategia PIG: trasformare il “Dolore” in valore per il marchio Starbucks

La “PIG Strategy” (Pain Is Good), formulata da Sampson Lee e resa accessibile in Italia grazie alla traduzione di Sergio Rossini, mette in discussione l’approccio tradizionale della “customer-centricity” che mira a eliminare ogni possibile ostacolo nell’esperienza del cliente.
Questa strategia sostiene che una ricerca indiscriminata dell’efficienza può portare a esperienze generiche e facilmente replicabili, che mancano di elementi distintivi.

Invece, la PIG Strategy suggerisce di gestire strategicamente i “pain point”, accettandone o persino accentuandone alcuni, a patto che questi rafforzino la promessa del brand. Marchi di successo come Starbucks o IKEA incarnano perfettamente questo approccio: sacrificano alcuni aspetti dell’esperienza (ad esempio, per IKEA, il montaggio dei mobili; per Starbucks, il prezzo) per esaltare ciò che li rende unici.

Questo crea contrasto e memorabilità, dimostrando che non tutti i disagi devono essere combattuti, ma alcuni possono diventare strumenti di differenziazione se integrati in un’esperienza più ampia e coerente. Il segreto è ampliare il “Pleasure-Pain Gap”, ovvero il divario tra lo sforzo richiesto e il beneficio percepito, rendendo l’esperienza di Starbucks significativa e coinvolgente.

Il prezzo elevato di Starbucks: un pain point funzionale e strategico

Uno degli elementi più distintivi e talvolta controversi dell’esperienza Starbucks è il prezzo elevato delle sue bevande. In un mercato dove un caffè espresso può costare pochi centesimi, spendere diversi euro per un caffè da Starbucks può sembrare eccessivo. Eppure, nonostante questa barriera economica, il marchio Starbucks continua a godere di un successo globale enorme.

La ragione di questo apparente paradosso risiede nella capacità del brand di bilanciare il disagio economico con un’esperienza percepita di valore superiore. Starbucks non vende solo un prodotto; vende un contesto, un ambiente, uno stile di vita. Il prezzo più alto viene accettato e persino valorizzato dal cliente perché percepito come il costo per accedere a un’esperienza che va oltre il semplice consumo.

Il “pain point” del prezzo in Starbucks diventa, paradossalmente, un simbolo di esclusività, rafforzando l’identità del brand e distinguendolo dalle catene di “fast coffee”. Se Starbucks abbassasse drasticamente i prezzi, rischierebbe di perdere una parte importante del suo posizionamento unico.

Questo è un esempio perfetto di come un “pain point” funzionale possa essere accettato e addirittura contribuire alla fedeltà del cliente, come teorizzato dalla PIG Strategy e applicato con successo da Starbucks.

Il ruolo delle emozioni nelle scelte del cliente, il contributo di Sergio Rossini e Sagres nell’analisi di Starbucks

Le decisioni dei clienti, sia nel B2C che nel B2B, sono profondamente influenzate dalle emozioni, spesso più della logica o della razionalità, anche se molti tendono a pensare il contrario. Questo è un elemento fondamentale per comprendere il successo di Starbucks, che ha saputo creare un legame emotivo con i suoi clienti attraverso il concetto di “Third Place”.

Sergio Rossini, CX Director di Sagres, ha condotto sondaggi sul tema, scoprendo che l’84% delle decisioni d’acquisto sono guidate dalle emozioni, e nel B2B, il 70% delle persone ritiene che la relazione vinca su prezzo e qualità del prodotto. Questo insight sottolinea l’importanza di capire le motivazioni profonde dietro i comportamenti dei clienti.

Sagres, infatti, promuove l’umanizzazione del business, basandosi sulla capacità di ascolto attivo ed empatia. Rossini ha tradotto in italiano il libro “Pain Is Good” di Sampson Lee, che offre una prospettiva innovativa sulla Customer Experience, sfidando lo status quo della customer-centricity tradizionale e suggerendo un’alternativa che porta vantaggi al cliente e risultati di business senza risorse extra.

Questo approccio si allinea perfettamente alla comprensione del successo di Starbucks, che non mira a eliminare ogni “dolore”, ma a gestirlo strategicamente per rafforzare il brand e la relazione con il cliente.

L’ascolto della voce del cliente (VoC) come strumento strategico per comprendere l’esperienza Starbucks

Per comprendere veramente le emozioni e le motivazioni dei clienti, come fatto per il caso Starbucks, è fondamentale implementare sistemi efficaci di “Voice of the Customer” (VoC).

Sagres critica i metodi di sondaggio tradizionali, come questionari lunghi e con domande chiuse, che spesso torturano il cliente e producono dati inaffidabili e poveri di feedback qualitativi.

In contrasto, l’azienda propone un “nuovo metodo” basato su domande aperte durante conversazioni telefoniche, che permettono ai clienti di esprimersi liberamente e di raccontare le proprie esperienze. Questi file audio vengono poi trascritti in testo tramite applicazioni “Voice to Text” e analizzati con intelligenza artificiale (AI) e “text analytics” per identificare concetti chiave, emozioni e driver di soddisfazione o insoddisfazione.

L’AI, sebbene utile per l’analisi di grandi volumi di dati, non può sostituire l’empatia umana nel front office. Questi report visivi dettagliati vengono poi presentati al management per prendere decisioni informate e avviare piani d’azione strategici. La capacità di Starbucks di comprendere le aspettative non espresse dei clienti e di adattare la propria offerta riflette l’importanza di un tale sistema di ascolto per la crescita e la fidelizzazione.

L’importanza del cambiamento e dell’azione per il successo della CX di Starbucks

La misurazione della Customer Experience, sebbene fondamentale, è inutile se non porta a un cambiamento concreto all’interno dell’azienda. Come sottolinea Sagres, “la CX senza cambiamento è solo un hobby”.

Il successo di Starbucks è la prova vivente di questo principio: l’intuizione di Howard Schultz sui bar italiani e il suo successivo sviluppo del “Third Place” non rimasero solo idee, ma furono tradotte in azioni strategiche che hanno ridefinito il modello di business dell’azienda.

Questo processo di trasformazione implica che le decisioni basate sui feedback dei clienti devono essere discusse ai massimi livelli aziendali e integrate nel piano strategico complessivo. Solo così l’azienda può garantire che le intuizioni derivanti dall’ascolto del cliente si traducano in miglioramenti effettivi che incidono sul conto economico e sulla relazione a lungo termine con i clienti.

L’approccio di Starbucks alla gestione dei “pain point” e alla coerenza della “brand promise” è un esempio di come un piano d’azione mirato possa creare un vantaggio competitivo duraturo.

Starbucks e la Customer Experience olistica: oltre il prodotto

Il caso Starbucks illustra in modo esemplare che la Customer Experience è molto più ampia del semplice “Customer Service Management” o del prodotto in sé.

Non si tratta solo di servire un buon caffè o di risolvere tempestivamente un reclamo, ma di progettare e gestire in modo intenzionale ogni singolo aspetto della relazione tra il cliente e il brand.

Mentre il Customer Service si concentra sull’assistenza e la risoluzione di problemi specifici, la Customer Experience è la somma di tutte le interazioni tra una persona e un brand, contribuendo a creare la percezione complessiva di quel brand nel tempo.

Per Starbucks, questo significa che l’esperienza del cliente include non solo la qualità del caffè, ma anche elementi intangibili e sensoriali come l’atmosfera del “Third Place”, il comfort dell’ambiente, la musica in sottofondo, la disponibilità della connessione Wi-Fi, la cortesia del personale e persino aspetti apparentemente secondari come l’accesso ai bagni o la disposizione dei tavoli.

L’approccio olistico di Starbucks all’esperienza del cliente, che considera ogni interazione, inclusi i “pain point” strategicamente accettati, è un modello che le aziende moderne dovrebbero emulare, integrando ogni fase della relazione per costruire fiducia e lealtà durature, rendendo l’esperienza unica e riconoscibile.

La lezione di Starbucks per le aziende moderne

Il successo di Starbucks non è frutto di una singola innovazione, ma di una profonda comprensione della Customer Experience e della capacità di implementare una visione olistica e umana del business.

Howard Schultz ha “inventato” un nuovo modello di caffetteria non creando qualcosa di completamente nuovo, ma reinterpretando con coerenza e originalità l’esperienza del bar italiano per il pubblico americano, trasformando un semplice consumo in un’esperienza ricca di valore emotivo e sociale.

Il successo di Starbucks deriva dalla sua abilità di mantenere una chiara “brand promise” e di gestire strategicamente i “pain point” attraverso la “PIG Strategy”. L’esempio del prezzo elevato del caffè di Starbucks, che diventa un “dolore funzionale” accettato in cambio di un’esperienza superiore e distintiva, dimostra come il disagio, se ben gestito e coerente con il brand, possa addirittura rafforzare la fidelizzazione.

La lezione di Starbucks è chiara: in un mercato sempre più competitivo e omogeneo, l’esperienza del cliente è il vero terreno di competizione sostenibile. Non si tratta di eliminare ogni problema, ma di orchestrare un percorso che alterni “dolore” e “gratificazione”, coinvolgendo emotivamente il cliente. Questo richiede un ascolto autentico della “Voce del Cliente” (VoC), basato su conversazioni aperte e analisi qualitative supportate dall’intelligenza artificiale, come promosso da Sagres.

Infine, il percorso verso una Customer Experience eccellente, sull’onda del modello Starbucks, non si ferma alla misurazione. Richiede un impegno costante nel tradurre gli insight in piani d’azione strategici, coinvolgendo il top management e promuovendo una cultura del cambiamento che umanizzi ogni interazione.

La capacità di Starbucks di creare un’esperienza memorabile, dove il cliente si sente parte di qualcosa di più grande del semplice acquisto di un caffè, è la testimonianza che l’esperienza, se autentica e coerente con la promessa del brand, diventa l’unico vero vantaggio competitivo che nessuno può copiare.

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